venerdì 12 ottobre 2007

La parabola del calciatore discendente

Mi chiamo Francesco e sono nato a Torino.
Ho iniziato a giocare a calcio che avevo 7 anni nella squadra del mio quartiere, il Barcanova.
A 12 anni mi ha chiamato il Torino e ho fatto tutta la trafila del settore giovanile granata.
Arrivato in Primavera, il mister della prima squadra decise di farmi esordire.
Avevo solo 18 anni e la prima partita mi comportai davvero bene, tanto che il mister decise di continuare a farmi giocare.
Ero un attaccante esterno, quella che poteva essere un' ala alla Bruno Conti. La mia arma migliore era la velocità e il dribbling in velocità, inoltre possedevo un ottimo tiro. Dopo la prima presenza il posto in squadra era diventato mio, nonostante il Toro fosse in B per me era un orgoglio enorme giocare titolare in una società così titolata.
Ero al settimo cielo, pronto a sfondare e a spaccare il mondo.
Arrivai alla 12esima partita consecutiva da titolare quando un' entrataccia di un difensore avversario mi spezzò in due la gamba. Frattura scomposta di tibia e perone, disinserzione completa del tendine d' Achille.
Una prognosi terribile. Mentre cercavo di riprendermi passavano i mesi e la fine della stagione era vicina.

Il mio contratto con il Torino scadeva proprio al termine di quella stagione e la società mi faceva sapere di non avere intenzione di rinnovarlo. Mi ritrovavo così ancora convalescente e senza un contratto.
Durante l' estate non mi arrivò nessuna chiamata fino a Settembre, quando il Bresciello (società allora in C1) mi propose un buon ingaggio ed un interessante progetto: salire quello stesso anno in Serie B. Mi stavo ancora riprendendo completamente dall' infortunio, erano passati più di 6 mesi e ritornai finalmente a giocare.
A Novembre, ottenuta la fiducia del mister, riniziai a giocare anche in campionato. Il mio ruolo era leggermente cambiato, da attaccante a centrocampista esterno. Mi rendevo conto di aver perso un po' del mio spunto veloce, ma dribbling e precisione di tiro erano quelli di prima.
Inizialmente non ero neanche titolare ma pian piano, con ottime prestazioni e con qualche gol, diventai inamovibile in una squadra che viaggiava spedita al primo posto e verso la promozione diretta in B. A Primavera inoltrata però, dopo una serie di 3 pareggi, perdemmo il primo posto in favore dell' Alzano. Le mie prestazioni non erano più convincenti come qualche partita prima perchè un fastidioso mal di schiena tendeva a limitarmi.
L' ultima partita di campionato, con l' Alzano un punto sopra di noi, ci giochiamo tutto per la promozione diretta e per non andare ai playoff. Il mister decise di schierarmi dal primo minuto anche perchè il mal di schiena sembrava darmi un po' di tregua... ma a metà del primo tempo, dopo una veloce torsione del tronco sentii una fitta fortissima che mi bloccò completamente la schiena. Venni trasportato fuori dal campo in barella, nei giorni successivi eseguii le indagini di rito e dalla risonanza venne fuori che mi era fuoriuscita un' ernia al disco che mi comprimeva le radici nervose e il midollo. Per i medici c'era una sola soluzione: l' intervento.
Come un anno prima la prognosi era terribile, potevo solo vedere nero.
Intano la mia squadra affrontò i playoff e venne eliminata al primo turno. Qualche giorno dopo il mio intervento (ben riuscito a detta dei medici) scoprii che la società era andata in bancarotta, che avrebbe dovuto ripartire dall' Eccellenza e che difficilmente avrei visto gli stipendi degli ultimi 3 mesi. Alla fine, ero di nuovo senza squadra.
Nonostante durante l' estate fossi ancora infortunato, mi arrivò una chiamata dalla Cremonese (C2) che decisi di accettare. Dovetti però aspettare fino a Gennaio prima di poter rivedere il campo da gioco; la squadra non era niente di particolare e viaggiava nella zona tranquillità della classifica. Riuscii a guadagnarmi il posto da titolare nonostante un lieve indolenzimento permanente alla schiena e nonostante la gamba operata mi facesse male di tanto in tanto. Il mio ruolo era sempre esterno di centrocampo, la stagione finì e anche il mio contratto annuale scadde.
A 18 anni avevo esordito ed ero diventato titolare in Serie B, a 19 anni giocavo titolare in serie C1 e viaggiavo verso la promozione, a 20 anni ho giocato mezza stagione da titolare in C2. Ed ero di nuovo senza squadra.
Mi chiamò il Varese (C2) e mi offrì un altro contratto annuale. Accettai, l' ingaggio di 2 anni prima a Bresciello era tutta un' altra cosa, ma non potervo fare a meno di accettare.
Così a Varese prima e a Mantova dopo disputai due stagioni da titolare in C2, nonostante qualche infortunio muscolare e i vecchi infortuni che mi impedivano di essere sempre al massimo della forma.
Dopo la stagione a Manotva, mi arrivò una proposta dalla Viterbese di Gaucci in C1 e io accettai di buon grado. Ovviamente il contratto era sempre annuale e neanche troppo generoso, ma la prospettiva di tornare su un palcoscenico superiore mi allettava non poco. Alla Viterbese, tra alti e bassi, riuscì a ritagliarmi un posto da centrocampista centrale. Con gli anni passati e gli infortuni che si facevano sentire ancora, ho dovuto spesso cambiare il mio modo di giocare. Non potendo fare più troppo affidamento sulla corsa veloce, ho perfezionato la mia capacità di smistare il gioco con lanci lunghi e ho mantenuto la capacità di saltare l' uomo utilizzando soprattutto finte di corpo.
Dopo Viterbo, andai ancora un anno in C2 alla Sangiovannese. Nell' ultima stagione tra i prof giocai pochissimo, un po' per uno strappo muscolare che mi lasciò fuori 3 mesi, un po' perchè il mister quell' anno tendeva a non vedermi troppo. Alla fine dell' anno feci l' ultimo salto di categoria della mia carriera e approdai in serie D, in cui ormai gioco da 4 anni. Quest' anno sono al Saluzzo, obiettivo dichiarato della squadra: salvezza.
Ho 31 anni, gli acciacchi e i gravi infortuni ora più che mai li sento parecchio nel fisico. Sono diventato un mediano che gioca davanti alla difesa, mi occupo soprattutto della distribuzione del gioco, mi rendo conto di non essere all' altezza di compiti di interdizione o di giocare ancora sulla fascia. Volente o nolente, non sono più il giocatore che ero a 18 anni.
Occasioni per sfondare ne ho avute, ma la sfortuna e altre componenti non mi hanno permesso di fare quel salto di qualità che ad inizio carriera mi sembrava davvero vicino. Ora, di anno in anno, aspetto che qualche società si faccia avanti per trovare un contratto che ogni volta si ri-presenta come annuale. Non ho più molta possibilità di discutere dell' ingaggio, devo accettare quello che mi viene proposto... spero di riuscire a continuare così almeno per altri 3 o 4 anni.
E finita la carriera da calciatore... che cosa farò?

Beh, per questo sono parecchio in crisi in questo periodo...
Non ho mai lavorato, ho sempre e solo giocato a calcio, ho un diploma di superiori, ho una moglie e un figlio di 2 anni che vivono con me e mi seguono ovunque vado a giocare, mia moglie non lavora, mia moglie non ha studiato, il mio contratto medio negli ultimi anni è di 1500 euro al mese dei quali più della metà in nero, in tutti questi anni di calcio ho speso molto, ho messo pochi soldi da parte.

Speriamo davvero che il fisico mi regga per qualche altro anno, nell' attesa di capire o provare se potrò fare qualcosa nella vita che non sia il calciatore.

Questa, grosso modo, è la parabola del calciatore discendente.
Attenzione, non la parabola discendente del calciatore, c'è differenza.
La carriera di questo ragazzo è un esempio, come lui ce ne sono davvero tanti. Futuro incerto, contratti annuali, una famiglia a carico, sfruttati quanto possibile per il talento, accantonati non appena gli si presenta un infortunio grave. Non è poi così allegra la vita del calciatore vista dai miei occhi.
E' vero che ci sono i soldi, è vero che ci sono tante donne, è vero che può esserci uno status di riconoscenza popolare.
E' vero che si spende parecchio, è vero che molte donne si avvicinano a loro solo per convenienza, è vero che tutti ti ricordano finchè sei sulla cresta dell' onda, poi facilmente ti dimenticano.
E la storiella sopra tralascia o accenna solo in parte i problemi coniugali ed economici (strettamente correlati) di fine carriera di molti di loro. Quando i soldi scarseggiano e la carriera è proprio alla fine, come per incanto la famiglia si spezza e molti si ritrovano da soli. Pochi diventano direttori sportivi, allenatori, preparatori, commercialisti, dottori... la maggior parte, soprattutto nelle categorie inferiori, sprofondano nella quotidianità in cui sono incapaci di muoversi.
Qualcosa di molto triste per chi ha deciso di fare della propria vita un gioco.
E non ha pensato che, nonostante i buoni stipendi e la buona carriera, si arriva ad un punto in cui forse bisognerebbe ragionare un attimo e cercare di costruire qualche capacità professionale per avere un domani. Bisogna saper ripartire da zero con qualcosa di nuovo e non è facile per chi non è stato abituato ad un lavoro vero. Non si tratta di gioco. Bisogna essere svegli e consapevoli già da giovani. E a me piace fare questi discorsi ai giovani della squadra, quelli che non sanno ancora se da grandi faranno i calciatori.
E' importante tenere sempre un occhio allo studio o ad altre possibilità extra-calcistiche. Non tutti ci arrivano, pochi in realtà.
Qualcuno c'è, ma in fondo... il calciatore ama giocare.

Buona serata e un grazie speciale a Vito.


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